La recensione di SD Gundam G Generation Cross Rays è per molti versi un evento da festeggiare, visto che Bandai Namco ha finalmente deciso di portare anche in Europa l’ultimo esponente della celebre serie strategica, sebbene nella sola versione Steam. Parliamo in effetti di un franchise con una storia particolarmente vasta e sfaccettata, basato sull’estetica in stile super deformed, che affonda le proprie radici nei primi anni ’90 con gli episodi iniziali di Super Robot Wars, disponibili prima su Game Boy, poi su NES e SNES, approdando infine su PlayStation agli albori del 2000.
Chi conosce il brand sarà senz’altro a conoscenza della suddivisione fra super robot e real robot. Nella prima categoria trovano posto i vari Mazinger e gli assemblabili come Daltanious, Godsigma, Godmars e Combattler V: macchine enormi, caratterizzate da un’impostazione poco realistica, che puntano sulla potenza pura a spese della rapidità. Nella seconda figurano invece i tantissimi esponenti della saga di Gundam e affini: mech plausibili, tutt’altro che indistruttibili ma capaci di muoversi velocemente e dunque di evitare con facilità i colpi dei nemici in battaglia.
Tutte le serie presenti nel gioco
Considerando la ricchezza e la straordinaria popolarità nipponica del franchise targato Sunrise, era solo questione di tempo prima che i real robot cominciassero a diventare protagonisti di produzioni parallele, di cui SD Gundam G Generation Cross Rays non è che l’ultimo esponente. Il gioco include ben tredici differenti campagne, alcune molto brevi (composte da due o tre missioni), altre decisamente più lunghe, che ripercorrono nell’ordine gli eventi di Mobile Suit Gundam Wing con le relative espansioni Dual Story G-Unit ed Endless Waltz, Mobile Suit Gundam SEED con i vari Astray, X Astray, Destiny e C.E. 73 Stargazer, infine Mobile Suit Gundam 00 con 00F e The Movie, e infine Mobile Suit Gundam Iron-Blooded Orphans e Iron-Blooded Orphans Gekko.
A parte Gundam Wing, che abbiamo visto anche in Italia poco più di una quindicina di anni fa, e Iron-Blooded Orphans, disponibile in versione sottotitolata su Netflix, la compilation appare dunque manchevole laddove l’obiettivo fosse quello di attrarre le attenzioni di fan vecchi e nuovi, a meno che non si parli di puristi che hanno recuperato le varie produzioni in versione subbed. Mancano infatti i grandi classici (Mobile Suit Gundam, Zeta Gundam, Gundam ZZ, F91) così come le ultime e più celebri interpretazioni del franchise (Mobile Suit Gundam Unicorn, anch’essa disponibile su Netflix con i sottotitoli). Non è ovviamente colpa di Bandai Namco, che si è limitata a proporre in occidente quella che è l’ultima produzione cronologica del brand, ma il problema dell’interesse rimane e anzi si fa particolarmente pressante a fronte di un prezzo di ben 49,99 euro su Steam.
Gameplay e impostazione
La formula di SD Gungam G Generation Cross Rays, che è poi la stessa dell’originale Super Robot Wars, parte dal presupposto che chi gioca conosca già gli eventi che vengono narrati, presentati sullo schermo attraverso una serie di dialoghi in stile visual novel che per la loro stessa natura non possono coinvolgere più di tanto o ricreare efficacemente determinate atmosfere. È dunque un gioco di rimandi e di ricordi, senza i quali vi troverete immancabilmente a saltare le parti testuali per arrivare rapidamente a cimentarvi con l’azione vera e propria, anch’essa purtroppo ben poco evolutasi in questi quasi trent’anni di storia.
Il gameplay è sempre lo stesso: all’interno di scenari molto generici e scialbi, che fungono unicamente da sfondo alle battaglie, dovremo disporre le nostre unità (scegliendo eventualmente fra diverse possibilità, ad esempio schierare le basi o meno) sul “tabellone” e affrontare un numero variabile di nemici nell’ambito di un sistema a turni di tipo a dir poco tradizionale.
Sfruttando l’energia a disposizione di ogni mobile suit potremo sferrare attacchi di diverso tipo, usando ad esempio spade laser o potenti cannoni, e creare diverse concatenazioni basate sulla posizione dei nostri robot, che potranno supportarsi per raddoppiare i danni ed eventualmente spartirsi le conseguenze dell’immancabile contrattacco.
Il gioco dà la possibilità di assistere a un gran numero di spettacolari animazioni che mostrano l’esito di ogni singola manovra, cutscene che alla fine dei conti fanno capire come mai il pacchetto pesi la bellezza di 40 GB. Anche qui, tuttavia, entra in campo il fattore nostalgia: se non conoscete i vari mobile suit, difficilmente deciderete di assistere a queste scene più di qualche volta, optando da un certo punto in poi per skippare le animazioni e portare avanti più rapidamente la partita. Del resto le missioni avanzate possono richiedere davvero molto tempo per essere completate: ci si ritrova con nuovi obiettivi dopo aver eliminato la prima ondata di nemici, ad esempio eliminare determinati bersagli entro un tot di turni, raggiungere una zona della mappa e gestire lo scontro all’interno di due scenari differenti e alternativi. Per fortuna un sistema di salvataggio consente di memorizzare i progressi per poter eventualmente interrompere la partita e riprenderla in un secondo momento.
Non c’è dubbio che ottenere la vittoria finale in uno scontro particolarmente complesso, in cui magari bisogna pianificare con attenzione le proprie azioni e ricorrere ad alcuni espedienti per riprendere fiato (far rientrare alcune unità nella base, ad esempio, per ripristinarne gradualmente l’energia), oppure far valere i potenziamenti sbloccati per personaggi e robot nel corso del tempo, produce una sensazione di soddisfazione che gli appassionati di strategici a turno senz’altro conoscono bene. Il problema, in questo caso, sta nella mancanza di novità sostanziali, che finisce inevitabilmente per appiattire l’esperienza ed esporne la grande semplicità strutturale: un fattore che non mancherà di far sentire il proprio peso laddove si giochi senza essere spinti dalla passione per i personaggi e i robot presenti.